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Commento alla frase del manifesto dell’Arcano:
«Mi impegno a conoscere, riconoscere e combattere in me e in voi l’odio distruttivo contro sé e gli altri, soprattutto nelle sue espressioni più sottili»


Di Sonia Pierangeli

Introduzione

Inizio con il descrivere il sentimento dell’avidità, da dove nasce, perché nasce e quali conseguenze penose e dannose procura nell'essere umano.

Inizio proprio dall’avidità, perché, come ci insegna Antonio Mercurio, l’invidia è un prodotto dell’avidità, sono un po’ consequenziali, ossia prima nasce l’avidità e poi da questa scaturisce l’invidia distruttiva per sé e per gli altri. Potremo anche dire che l’invidia è figlia dell’avidità.

Cominciamo il nostro viaggio.


La nascita di una nuova vita

Un ovulo e uno spermatozoo si incontrano.
La cellula uovo viene fecondata dagli spermatozoi presenti nella tuba. Con la fecondazione si forma una nuova cellula chiamata zigote contenente 46 cromosomi (23 maschili e 23 femminili).

Lo zigote rappresenta la prima cellula da cui trarrà origine un nuovo organismo. Avvenuta la fecondazione, lo zigote inizia a dividersi per mitosi dando origine ad una piccola sfera detta morula che si dirige verso l’utero.

Nel corso di una settimana la morula si trasforma in una doppia sfera cava di cellule, LA blastocisti; che si insedia nella parete uterina (annidamento). Inizia così la gravidanza, che dura circa nove mesi.

Nei primi 3 mesi di gravidanza si formano i tessuti dei futuri organi della nuova creatura, che in questo stadio viene detto embrione e poi, a partire dalla fine del secondo mese, cioè quando compaiono i caratteri propri della specie umana, viene detta feto.

L’utero si allarga per contenere il feto man mano che questo cresce racchiuso all’interno di un sacco, l’amnios, pieno di liquido che ha il compito di proteggerlo.

Al suo nutrimento provvede invece la placenta attraverso il cordone ombelicale. La placenta consente all’embrione di ricevere ossigeno e nutrimento dalla madre e di eliminare le sostanze di rifiuto.

Durante i sette mesi successivi il feto si accresce e alla fine dei nove mesi è pronto ad abbandonare il ventre materno (parto).

In sintesi, queste sono le tappe dello sviluppo biologico:

  • ovulo e spermatozoo si incontrano;
  • nascita dello zigote;
  • morula;
  • blastocisti (quando si verifica l'annidamento);
  • embrione (fino a 3 mesi di gestazione);
  • feto (dai tre mesi fino alla nascita).

Questo è in sintesi lo sviluppo ontogenetico da un punto di vista fisiologico che accompagna due cellule primordiali fino alla nascita di un bambino.

Questo processo creativo e trasformativo che porta due cellule a incontrarsi e "fondersi" per dar vita a un altro essere umano, non è assolutamente semplice né scontato.

È un processo che ha del meraviglioso e del miracoloso e risente dell’influenza della storia materna e paterna, del momento attuale del concepimento e dell’intera gestazione.

Sono campi energetici che si incontrano: c’è quello della madre, c’è quello del padre e quello del feto. Non è detto che pur incontrandosi un ovulo e uno spermatozoo, per forza avvenga una fecondazione.

L’ovulo, per esempio, deve modificarsi con delle reazioni chimiche nella sua membrana per permettere allo spermatozoo di entrare. In seguito la cellula uovo fecondata deve affrontare un viaggio non semplice e irto di pericoli dalla tuba all’utero prima di attecchire e poi svilupparsi (v. Il Miracolo della vita, Film DVD).

Queste sono alcune delle difficoltà che abbiamo incontrato fin dall’inizio della nostra vita.

Credo che per la riuscita di questo processo conti molto la dimensione spirituale (spesso inconscia) della madre e del padre, nell'accogliere o rifiutare che questo miracolo si verifichi.
Il concepimento e l’attecchimento sono avvenuti.

Proviamo a ipotizzare cosa può accadere al bambino all’interno dell’utero della madre.

L’avidità

Quando un bambino viene concepito, inizia una nuova vita. Egli ha inscritto nel DNA la sensazione di benessere e quella di malessere. Dice Mercurio: «Nel DNA c’è scritto come deve essere la qualità dell’utero perché l’io fetale si senta a suo agio» (Le leggi della Vita, p. 30).

Il bambino ha un’aspettativa: si aspetta di esperire il pieno. Cosa si intende con questa frase? Si aspetta di trovare una buona energia, nutrimento, amore, di vivere cioè un'esperienza positiva per il suo sviluppo di feto da un punto di vista biologico, psichico ed esistenziale.

Ma come dice Mercurio, l’utero delle madri è spesso inquinato in questa società. È povero energeticamente. Basta pensare proprio anche al numero crescente di aborti e delle difficoltà addirittura nel concepimento.

Quindi l’Io fetale si troverà in tal caso a vivere una esperienza di deprivazione del pieno, per il feto questo sarà una frustrazione.

Ma la ferita narcisitica non è tanto dovuta alla deprivazione, quanto al fatto che l’Io fetale ritiene di avere subito una grave ingiustizia a danno dei suoi bisogni biologici, psichici ed esistenziali. Il sentimento di tale ingiustizia porta poi, successivamente, da adulti a cercare nella vita un bisogno di vendetta, piuttosto che cercare una sana riparazione.

Le problematiche di esperienza del vuoto possono poi riguardare anche la fase successiva, cioè quando il bambino è nato, e inizia l’allattamento.

Molti di noi restano fissati a quella fase (fase orale) del nostro sviluppo biologico perché l’allattamento non è stato vissuto in modo sufficientemente appagante, dando vita, da adulti, ad un carattere orale rimosso o insoddisfatto dell’individuo.

Quindi come prima situazione che potrebbe portare al nascere dell’avidità e poi dell’invidia, la troviamo nella esperienza della deprivazione di un pieno.

Ma attenzione: avidità e invidia sono meccanismi di offesa, sono espressioni sottili di odio. Per cui non intendo giustificare il fatto che il bambino e poi l'adulto si debba sentire in diritto di essere avido o ad invidiare gli altri perché lui ha subìto un’esperienza di deprivazione.

Ma, al contrario, desidero mettere in luce quali meccanismi biologici, psichici e ed esistenziali possono portare all’istaurarsi dell’avidità e dell’invidia, e trovo assolutamente necessario che l'adulto, attraverso un cammino spirituale, sappia riconoscere e perdonare il torto che ritiene di aver subito.

Altrimenti l’adulto rimarrà nell’avidità e coltiverà l’invidia per gli altri, proprio perché lui si sente vuoto, ma è un vuoto antico, e piuttosto che riparare desidera distruggere gli altri che egli considera portatori di questa pienezza che lui non ha.

Vediamo altre situazioni uterine o neonatali che possono far nascere questi sentimenti di avidità e invidia.

Ricordiamo per esempio il discorso di A. Mercurio sulle madri divoranti. La madre divora il figlio quando è piccolo e lo fa con due modalità differenti: con una modalità possessiva oppure con una modalità abbandonica.

Ad esempio, quando la madre vuole “mangiare di baci” il bambino, o lo asfissia con le sue premure eccessive, e allora parliamo di madre possessiva, o lo minaccia, mandando il messaggio «o fai così o mi arrabbio, o ti lascio» parliamo di una madre con una modalità abbandonica.

La stessa madre può avere tutte e due le modalità, sia possessiva che abbandonica. E questo sia quando il bambino è ancora nell’utero, sia quando è nato e molto piccolo.

Per esempio una madre che succhia energia al figlio fin dall’utero, sentendosi piena del figlio. Per esempio un figlio nella pancia potrebbe essere vissuto come un sostituto di una madre che per esempio è mancata nell’infanzia della gestante (mancata in senso affettivo, non per forza perché è morta).

Da qui possiamo fare il passaggio al discorso di A. Mercurio sulla vita come furto.

La vita come furto comincia già nei primi rapporti tra la madre e il figlio. Seguendo le parole di Mercurio, siamo in un’epoca storica in cui divorare ed essere divorati, tra madre e figlio, è estremamente diffuso.

Da qui nasce l’avidità, la voglia di divorare. Dice sempre Mercurio che in questa società consumistica, c’è qualcuno che non è stato divorato da piccolo, espropriato di parti della sua persona e adesso non divora? C’è qualcuno? Tutti divoriamo perché tutti siamo stati divorati.

Mercurio per risolvere questo problema, propone di uscire dalle simbiosi divoranti, per approdare alla libertà della persona e quindi alla propria realizzazione.

Per esempio queste simbiosi divoranti le potremmo trovare, da adulti, tra partner: la moglie che non si separa da un marito alcolizzato o giocatore d’azzardo. Il marito divora le finanze domestiche e la moglie possiede il marito, sentendosi l’unica santa in grado di stare con lui.

Possiamo ricollegarci qui al concetto di piacere malsano di Mercurio. Questo rapporto sadomasochistico, tra moglie e marito, produce un piacere malsano in entrambi, al quale è difficile rinunciare, proprio perché significherebbe smettere di vendicarsi (su se stessi e sugli altri) per ricercare una vita più gioiosa.

Proseguiamo e analizziamo un altro concetto di A. Mercurio riferito all’avidità e all’invidia.

Mercurio dice che l’avidità è contraddistinta da una profonda contraddizione. Chi è avido, secondo Mercurio, ha dentro di sé due opposti: l’orrore del vuoto e l’intolleranza del pieno.

L’orrore del vuoto è comprensibile anche riferendoci a quanto detto prima sulle esperienze di deprivazione del pieno nella vita intrauterina e neonatale.

A tale proposito Mercurio dice che per risolvere questa condizione occorre, invece, entrare nel vuoto, perché il pieno (per esempio la gioia) non è una cosa che ci viene regalata, ma è il risultato di una dura conquista.

L’intolleranza del pieno significa che l’avido non può tollerare il pieno altrimenti non potrebbe più lamentarsi di essere vuoto e quindi dovrebbe rinunciare a essere vittima che lo porta a colpevolizzare gli altri e a vendicarsi verso chi è colpevole del suo vuoto.

Citazioni da Le leggi della vita di Antonio Mercurio

Vi riporto alcune frasi da Le leggi della vita, per farne spunti di riflessione:

  • l’avido è colui che non tollera la gioia, perchè se l’accettasse dovrebbe rinunciare alla pretesa e al lamento e dovrebbe rinunciare al piacere sadomasochistico e al piacere della vendetta. Ma questa rinuncia comporterebbe necessariamente l’esperienza del vuoto e pochi sono coloro che accettano di fare questa esperienza. La’vido è colui che, per non affrontare il vuoto, tra la gioia e il piacere malsano sceglie sempre il piacere malsano;
  • l’avidità è la matrice principale che alimenta l’invidia per gli altri. Gli altri sono visti come i depositari della pienezza che essi hanno e noi non abbiamo. Gli altri, che si suppone siano nel pieno, rendono acuta e dolorosa la presenza del vuoto che ci possiede. Dunque bisogna distruggere l'altro, nella speranza illusoria che ciò porti un sollievo alla presenza dolorosa del vuoto;
  • l’avido è colui che ragiona in questi termini: gli altri hanno tutto, io non ho nulla, perciò devono morire;
  • colui che è avido non è mai contento né di quello che è né di quello che ha.






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