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Di Alberto Gambardella

L’isolamento dell’affetto (o rimozione dell’emozione come lo definisce il Brenner nel Breve corso di psicanalisi) è un meccanismo di difesa in cui avviene una separazione tra il tono affettivo e la rappresentazione dell’affetto e che si manifesta attraverso la percezione spesso ossessiva di un pensiero che viene considerato estraneo dal soggetto percepiente, estraneo in quanto non viene ricollegato a nessuna modalità affettiva particolare.

È per esempio il caso di una madre che aveva delle idee ossessive di aggredire il proprio bambino. Essa non nutriva nessun desiderio conscio di nuocere al proprio bambino, non sperimentava nessun atteggiamento aggressivo ricollegabile all’idea che la ossessionava.
L’ossessione che pure generava fastidio e sensi di colpa, serviva tuttavia ad evitare il contatto con profondi sentimenti di collera e di odio che avrebbero generato nella madre conflitti angosciosi.

Tale meccanismo è frequente nelle nevrosi ossessive, in cui attraverso un particolare cerimoniale ripetuto meccanicamente, (lavarsi le mani decine di volte al giorno) si tenta di controllare impulsi nascosti.

L’isolamento dell’affetto è stato particolarmente studiato dalla psicanalisi perché quando viene messo in atto nel corso delle associazioni libere, (tecnica costitutiva della terapia psicanalitica che consiste nell’esprimere senza discriminazione tutti i pensieri che vengono in mente) viene identificato come elemento resistenziale.

Secondo noi questo meccanismo di scissione tra l’emozione e la sua rappresentazione è molto diffuso a livello sociale basti pensare alla pratica della medicina allopatica in cui il sintomo della malattia (rappresentazione dell’affetto) viene considerato e trattato come un elemento totalmente esterno ed estraneo alla vita emotiva e affettiva del soggetto.

Al contrario, nel percorso terapeutico, possono avere valore abreativo (cioè di scarica dell’emozione) proprio quei momenti in cui si ricostruiscono i legami tra il vissuto emotivo e l’accadimento esperienziale.





































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