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Di Alessandro Santini

Commento alla frase del manifesto dell’Arcano:
«Mi impegno a conoscere, riconoscere e combattere in me e in voi:
l’odio per il diverso in ogni sua forma»



Prologo

Ogni giorno cerco di imparare il passaggio dalla vita come furto alla vita come dono e, prima ancora, a come uscire dall’avidità per approdare alla reciprocità.
(Antonio Mercurio, La nascita della Cosmo Art, p. 27)


La storia del mondo, dell’umanità quale la conosciamo noi, è ben fitta di esempi che convergono in un’unica direzione: l’essere umano smania per il potere sugli altri, è avido e non si fa scrupoli a sottomettere con la violenza il suo simile o il suo diverso.

Per quel che ne so, è da tempo immemorabile che esistono i padroni e gli schiavi, i ricchi e i poveri, i privilegiati e i deboli a essi sottomessi. Mi vengono in mente gli indiani d’America, i neri africani deportati e fatti schiavi dai paesi colonizzatori; mi vengono in mente le crociate, la “santa” inquisizione, le invasioni omicide e i genocidi perpetrati in nome della civiltà e della supposta superiorità culturale o religiosa.

Sarebbe sufficiente dirigere uno sguardo agli eventi dell’ultimo secolo, per avere un’idea chiara dell’odio distruttivo e della violenza di cui è stato capace l’essere umano. Mi riferisco alle due grandi guerre, all’olocausto, al martirio delle popolazioni curde, alle purghe staliniste, al Vietnam e se ne potrebbero elencare tanti altri.

Ma la violenza e l’odio per ciò che è diverso ha assunto anche altri caratteri, più sottili e meno evidenti, emersi con sempre maggior chiarezza nel corso del tempo. E qui mi riferisco alla manipolazione da parte di un potere in nome della scienza e/o della religione: la condizione femminile, l’educazione dei bambini, il potere economico, la repressione sessuale e persino le nascite.

Wilhelm Reich ha descritto tale scempio e lo ha chiamato peste emozionale: la corazza caratteriale e la rigidità del corpo rappresentano la trappola entro cui vive l’essere umano. L’uomo corazzato che vive nella trappola, costruita con le proprie mani, odia in modo distruttivo la vita; egli intuisce che c’è la vita fuori dalla trappola, anela alla libertà, sente di aver perso qualcosa, ma non appena vede uno spiraglio di luce si ritrae rigidamente.

Antonio Mercurio, invece, con un linguaggio diverso, descrive la condizione umana attuale e remota, come la scelta, seppure inconscia, di vivere la vita come furto, possesso e violenza. Questa è una scelta di odio vendicativo e distruttivo: l’essere umano è orgoglioso, pretende la perfezione da sé stesso e dagli altri, tutto gli è dovuto e non accetta né il bene né il male che è in lui. L’uomo si sente senza colpe e senza macchia, anche se uccide continuamente se stesso e gli altri in mille modi diversi.

Io sono nato nel 1958, quando il secondo conflitto mondiale era finito da poco più di un decennio. Mio padre ha partecipato alla guerra, e mia madre, allora adolescente, ha ascoltato il fragore delle bombe e ha visto sfilare i soldati tedeschi per le strade di Roma. Da un punto di vista sociale, queste esperienze hanno rappresentato il nutrimento contaminato di quelle generazioni.

Ora, accanto alle esperienze del momento storico presente, positive e negative, esiste, in ogni essere umano, il patrimonio delle esperienze, positive e negative, dell’umanità nel suo insieme, dal momento del suo concepimento e della sua nascita. Ciò vuol dire che in ogni essere umano che viene al mondo, esiste dentro di sé tutto il Bene e tutto il Male dell’Umanità, e con questo ognuno farà i conti, prima o poi.

La memoria dell’umanità è memoria genetica custodita nel DNA e si trasmette di generazione in generazione. Di fatto, però, e possiamo continuare a osservarlo nella cronaca attuale, la violenza e l’odio distruttivo non si placano, e una parte di questa violenza riguarda ciò che per l’uomo è diverso da lui.

Ma la civiltÀ umana siamo noi e quelli che prima di noi hanno abitato il pianeta Terra, e siamo dunque noi stessi a mantenere la vita come furto e violenza. È chiaro, quindi, che diventa di fondamentale importanza scoprire all'interno di ognuno di noi, per il nostro Bene, quanto odio distruttivo, violenza e pretesa onnipotente ci siano.


Me e voi: noi dell’Arcano

Adesso parlerò di me, estrarrò il male che c’è in me, in modo da poterlo confrontare con il vostro e poterci lavorare insieme, come progetto corale.

Il Sé comunitario, il Sé dell’Arcano, ci comunica che il passaggio da fare, affrontando creativamente la morte delle nostre parti malate, è quello dalla vita come furto e violenza, alla vita come dono e richiesta.

Qualcuno si chiederà: in che modo il Sé dell’Arcano ci da questo messaggio? Io credo che ciò avvenga in tanti modi: ognuno di noi ha un sogno, immagina per se stesso qualcosa di buono, un’idea, un progetto o un desiderio da realizzare, forse un bisogno da soddisfare. Molte volte il luogo di nascita di questi pensieri è proprio l’Arcano.

Il Sé dell’Arcano ogni tanto si fa sentire o si fa vedere parlando con la voce di qualcuno di noi: ad esempio, il Manifesto è un progetto del Sé personale di Antonio Mazzetti e di Laura Rita, ma è anche diventato un progetto dell’Arcano e quindi di noi tutti. Comunque, credo che sia importante allenarsi a dialogare col nostro Sé.


Domande

Odio io chi è diverso da me?

E se è vero, da dove mi nasce questo odio, e perché si è sviluppato ed è prosperato dentro me?

In quale forma, pensiero o comportamento, odio io?

È vero che le imperfezioni, i difetti e le differenze di pensiero e di comportamento delle altre persone, costituiscono in qualche modo una minaccia per me?

Se odio il diverso da me, allora vuol dire che desidero il male per lui, che lo voglio annientare, distruggere, farlo scomparire.
È così? Sono così io?


Frammenti della mia storia

C'è voluto molto tempo prima che io riuscissi a capire che non ero quello che pensavo di essere. Sin da bambino ho creduto di essere buono e di vivere in un mondo ingiusto, che non si curava di me e dei miei problemi.

La sera, prima di addormentarmi, recitavo le preghiere che mi aveva insegnato mia madre: il Padre Nostro, l’Ave Maria e l’Angelo di Dio; poi pregavo affinché il Signore mi aiutasse a non soffrire e ad affrontare positivamente i miei problemi. Andavo in chiesa tutte le domeniche, mi confessavo, facevo la comunione e, tutto contento, mi recavo al pranzo festivo.

Quando andavo alla scuola media, vedevo i miei amici con le ragazze, io no; mi sentivo brutto e rifiutato, e sviluppai la paura per le ragazze, divenni grasso, goffo e molto bloccato. Nello stesso luogo in cui andavo a pregare, la parrocchia, conobbi molta gente e non tutta di fede; cominciarono le trasgressioni, cominciai a farmi del male, a farmi delle idee nuove sul mondo e sulla vita, ma continuai a sentirmi senza macchia e senza colpe.

Un’esperienza distruttiva mi avvicinò all’analisi e pian piano iniziai a cambiare atteggiamento nei confronti della vita. Per molti anni la distruttività cambiò veste ma non la sostanza e, tuttavia, accanto alle esperienze negative ci furono anche esperienze positive che mi rinforzarono.

Antonio Mazzetti mi insegnò molte cose e cominciai a sentire che avevo delle colpe, la principale delle quali la trovai espressa chiaramente in Amore, Libertà e Colpa di Antonio Mercurio: «La colpa invisibile più universale è data dall’odio inconscio verso le figure parentali» (p. 10).

Da allora a oggi molte cose sono cambiate e l’esperienza mi ha insegnato che la virulenza dell’odio distruttivo non finisce mai di dispiegarsi appieno, si insinua sempre in qualche piega, in un angolo e che bisogna essere continuamente in guardia.


Risposte (1)

Ripensando alla mia esperienza interiore, ho potuto notare che c’è la tendenza a un sentimento formulabile nei seguenti termini: quante volte nell’arco di una giornata mi sono ritrovato a pensare o a dirmi che il comportamento di chi mi sta vicino è del tutto biasimabile o che mi fa incazzare o che è disprezzabile? Credo che sia un sentimento piuttosto comune e diffuso.

E non pensate che ogni volta noi formuliamo un simile pensiero o parola, stiamo uccidendo, in forma simbolica ovviamente, la persona che critichiamo o, quanto meno, una parte di quella persona? La condanna è inappellabile, il giudizio implacabile e definitivo.

Potrei trovare mille esempi di vita quotidiana in cui disprezzo e condanno chi non è come me, chi non fa le cose come le faccio io, chi non pensa come me, chi non è d’accordo con me.

Io credo che il mio odio distruttivo mi viene dall’odio distruttivo delle generazioni precedenti e, in particolare, dalla qualità delle esperienze embrionali, fetali e postnatali. Credo anche di aver fatto una o più scelte in una o in tutte queste fasi evolutive.

Scrive Mercurio: «La prima scuola dell’odio il bambino l’apprende sulle braccia della madre. Così come la prima scuola dell’'amore e del perdono. Se una madre sa amare e sa perdonare, anche il suo bambino saprà amare e perdonare. Ma se una madre è rigidamente cristallizzata nel suo odio anche il suo bambino sarà preso nelle maglie dell'odio e difficilissimamente sarà capace di uscirne». (Amore, libertà e colpa, p. 185)

Insomma, l’odio distruttivo per il diverso è dato dal patrimonio dell’umanità nel suo insieme, trasmesso di generazione in generazione, e dalle decisioni personali prese sin dall’inizio della vita.

Ciononostante, non è predeterminato, cioè c’è sempre una possibilità, in qualsiasi momento della propria esistenza, di poter trasformare le parti di odio.

Se mio padre e mia madre odiavano in modo distruttivo e non erano capaci di amare e di accettare la diversità, allora per me sarebbe stato impossibile imparare ad amarla e accettarla. Ma io adesso so che posso imparare in qualsiasi momento, che dipende da una mia scelta.


L’utero della madre

Qual è la prima esperienza personale che l’uomo ha con chi è diverso da lui?
Io credo che sia quella con l’utero materno.

Come vivrà chi ha vissuto in un utero caldo e accogliente? E come vivrà invece chi ha vissuto in un utero freddo e non accogliente? Quali differenze?

Non voglio affermare il valore dell’una e dell’altra esperienza in termini assoluti: il primo vivrà meravigliosamente, mentre il secondo assolutamente no. Condivido invece l’ipotesi della Hay, secondo cui ognuno sceglie i propri genitori e quindi l’utero nel quale crescerà.

Ronald Laing scrive: «La differenza tra l’essere accolti bene e il non esserlo, tra un ambiente accogliente e un ambiente non accogliente, fa tutta la differenza del mondo. Anche l’entrare in una stanza. La differenza tra l’essere benaccetti o no! Non si può prendere il ciclo della vita dei desiderati come la norma statistica». (I fatti della vita, p. 29)

La lettura del libro mi ha interessato molto perché mi sono proiettato nel mio vissuto intrauterino e ho potuto fare dei pensieri, avere delle immagini e sensazioni.

Eccone alcune:
Ho sognato me in un anfratto scuro e vedo fuori dell'anfratto un torrente in piena, molto impetuoso; al centro del torrente, aggrappate su uno scoglio, una collega del lavoro con la figlia che lottano per non essere sommerse dalla piena. Ho paura, non posso fare niente.

Interpretazione: io sono poche cellule, mi muovo nella tuba di mia madre, mi aggrappo alla parete dell'utero. Ce l’ho fatta. Potevo morire.

Maratona primaria: sono ripiegato come un embrione. Sento tanto freddo sulla fronte, qualcosa di gelido preme su di essa. È una brutta sensazione. Non trovo le parole per descrivere quello che ho sentito, ma sento che riguarda il mio essere a contatto con la parete dell’utero di mia madre. Sono sfinito: che è successo?

La mia pelle ha sofferto moltissimo sin da quando mia madre mi allattava. La medicina non ti offre spiegazione alcuna, solo creme. Le mie mani sono ferite, poi anche i polsi e le gambe. Riguarda il contatto primario? Per anni ho creduto che fosse un problema profondo legato all'allattamento, ma poi ho avuto questa visione: sono un gruppo di cellule, come nel sogno di prima. La mia pelle di allora è la membrana delle cellule che si annidano nell’utero. È freddo e non accogliente, come nella maratona primaria. La mia pelle soffre e, come mi ha detto Antonio Mazzetti, la pelle piange così.


Risposte (2)

È di estrema importanza, dunque, andare a vedere e a sentire l’esperienza passata, a partire dagli albori della vita intrauterina; le scelte e le decisioni prese, sia quelle d’amore sia quelle di odio e ricostruire un quadro unitario della nostra vita, non per appenderlo su una parete, ma per renderlo sempre più presente, bello e vissuto.

Credo che la distruttività insita nell’essere umano nei confronti dell’Altro e della Vita nasca come risposta a quello che l’Io embrionale e fetale prima, e l’Io del bambino poi, hanno percepito come la mancanza della bellezza cui si aveva diritto come esseri umani entrati nel mondo.

Chi non si è sentito accettato e amato, riconosciuto nella propria identità maschile o femminile, sente di aver perso qualcosa e si sente ingiustamente colpito.

Mia madre è sempre stata scontenta della propria vita, non aveva fiducia nell’Universo vivente; non si è mai stimata e voluta veramente bene; sentivo che non c’era amore tra lei e mio padre.

Mi ha detto che avrebbe desiderato una femmina quando era incinta di me, e io ho scoperto, con l’analisi, che il suo non era solo un pensiero cosciente, che per me è stato qualcosa di più: un’offesa pesante, una ferita difficile da accettare e da perdonare. Da lì è cominciata la ricerca del paradiso perduto, come dice Mercurio.

Ricerca o rifiuto?

Scrive Mercurio «La ferita narcisistica che colpisce l’Io nello stadio embrionale o in quello fetale ha una tale virulenza che impedisce all’Io di nascere totalmente […]. Nulla potrà mai ridare quello stato iniziale di pienezza che è stato desiderato ma non è stato vissuto perché non c’era. Questo conflitto tra ricerca e rifiuto costituisce il fondamento dell’avidità dell’uomo contemporaneo […]. Un uomo che è avido di riconoscimenti, perché non è stato riconosciuto come Tu dall’Io che l'ha generato […]. L’avido è colui che non tollera la gioia, perché se l’accettasse dovrebbe rinunciare alla pretesa e al lamento e dovrebbe rinunciare al piacere sadomasochistico e al piacere della vendetta. Ma questa rinuncia comporterebbe necessariamente l’esperienza del vuoto e pochi sono coloro che accettano di fare questa esperienza. L’avido é colui che, per non affrontare il vuoto, tra la gioia e il piacere malsano sceglie sempre il piacere malsano» (Le leggi della vita, pp. 30-31).

Invece di accettare la perdita, cosa ho fatto io per riempire il vuoto del paradiso perduto? Sono diventato tutto ciò di cui ho accusato mia madre per anni. Sono diventato avido e invidioso, pretenzioso e perfezionista, sadico e masochista. In ognuno di questi sentimenti non c’è spazio per gli altri o, se c’è, è in funzione del proprio narcisismo.

L’avido e il pretenzioso vogliono tutto per sé e nulla per gli altri; l’invidioso vorrebbe distruggere ciò che pensa gli altri abbiano; anche il perfezionista è distruttore, odia chi non è perfetto, e poiché nessuno lo è diventa imperativo odiare tutto e tutti, perfino sé stessi.

Il sadico e il masochista, carnefice e vittima, sono come una moneta, testa e croce: tu ti lasci odiare e io ne traggo piacere, il piacere malsano della vendetta, ma anche tu, che sei sottomesso al mio sadismo, odi me, anche tu ti vendichi su di me.

Tu ci sei per me? E io ci sono per te? Quale spazio vitale tu sei per me e io per te?

Ascoltiamo ancora le parole di Mercurio: «Non abbiamo avuto genitori perfetti? E, dunque, è giusto odiarli senza tregua. Non abbiamo partner perfetti? E, dunque, è giusto odiarli implacabilmente. Non siamo perfetti, come è perfetto il Padre nostro che sta nei cieli? E, dunque, è giusto odiarci profondamente e vivere una vita all’insegna dell’auto-distruttività […]. E perché siamo tutti così intolleranti e privi di misericordia verso noi stessi e gli altri? Ogni offesa è un’offesa di lesa maestà e si lava solo col sangue. Ogni limite, nostro o altrui, diventa un’offesa alla nostra divina maestà e deve essere negato con tutte le forze. Volevamo diventare puri spiriti e siamo diventati pura reattività. Non più esseri umani capaci di comprensione e di compassione ma spiriti feroci pronti all’attacco e alla distruzione» (Le leggi della vita p. 38).

Ora, noi siamo amore e odio, lo siamo nel Bene e nel Male, ed è importante osservare e sentire i sentimenti, positivi e negativi, che si affacciano nel nostro animo.

Ogni volta che ho trovato la mia verità, anche se amara, ho pure trovato un pezzetto d’amore e di pace. Ogni volta che ho trovato in me odio distruttivo ho sofferto si, ma ho potuto lavorarci e ho imparato a volermi più bene.

Se io sono così e anche tu, amico mio, sei così, e se al mondo ci sono milioni e milioni di persone che sono così, non è per disegno o castigo divino.

L’Universo non vuole il male dell'Uomo, altrimenti non gli avrebbe donato la vita. Abbiamo ricevuto questo dono e possiamo farne ciò che vogliamo: lasciare che cada negli abissi dell’oscurità oppure farlo splendere come la stella più bella dei cieli.

Noi vogliamo riuscire a trasformare la distruttività fine a se stessa, in tutte le sue svariate forme, in creatività amorosa per costruire la Vita, la nostra Verità.

Non è il paradiso perduto la nostra aspirazione, ma la bellezza che possiamo creare noi.


Epilogo

Rimane un’ultima domanda alla quale rispondere e forse la più difficile: come combattere in me e in voi l’odio per il diverso?

Oggi, mentre sto scrivendo, penso che ho odiato per anni e che mi sono affannato tra mille rabbie. Certamente, molto dell’odio distruttivo rimosso è divenuto cosciente e, probabilmente, tanto altro c’è da scoprire.

Ma, a parte questi calcoli, la cosa più importante è riuscire a trasformare il proprio odio distruttivo in capacità amorosa per creare bellezza e prosperità.

È il Sé personale e cosmico che chiede a gran voce questo passaggio. Il problema allora è come compiere questa trasformazione.

Mi sembra che un aspetto oppositivo a essa, possa essere visto in questo modo: abbiamo capito che l’odio distruttivo assolve svariate funzioni, ci difende dal dolore della mancanza, ci da il piacere della vendetta, ci evita l’angoscia di morte e ci fa mantenere l’unione simbiotica malsana con la madre.

Mi viene allora da dire: ho capito con la ragione, ma ho sentito veramente? Quanto sentiamo veramente e autenticamente? Credo che questa sia una sintesi importante da compiere: unire la mente e il cuore che sono scissi.

Mi viene anche da dire che questa prima sintesi possa essere frutto della compassione: guardare quel povero bambino interiore che soffre di dolore per le ferite delle offese e delle umiliazioni ricevute, poterlo prendere tra le braccia e, accarezzandolo, dirgli: «Adesso ci sono io qui con te e sempre ci sarò. Ti voglio bene». È già amore.

Una grande possibilità di trasformazione mi viene dall’entrare in contatto profondo con il mio odio distruttivo, perché sento veramente che posso fare una scelta ben precisa: continuare o rinunciare a vendicarsi e a lamentarsi vittimisticamente.

Un’altra grande possibilità può essere espressa nella seguente forma: avresti voluto che i tuoi genitori fossero contenti e spensierati, amorosi e fiduciosi? Non lo sono stati e li accusi per questo odiandoli a oltranza? Credi che la colpa della tua infelicità sia in questo loro atteggiamento nei confronti della vita? Allora regalati questa possibilità: sii contento e spensierato, amoroso e fiducioso nella vita. Liberati del lamento, basta fare la vittima.

Per concludere, ricordo che i passaggi da compiere per l’evoluzione creativa del Sé sono stati già ben descritti da Antonio Mazzetti e Laura Rita (Briciole di coscienza, p. 73). Io ho fiducia che si possa noi compierli lavorando individualmente e insieme, con passione e serietà.

L’energia dell’Arcano siamo noi e le nostre scelte; l’Arcano è un organismo vivente: ha un Sé, un corpo, una mente e un Io-persona. Armonizzare queste quattro componenti è l'obiettivo che ci siamo preposti, sia individualmente sia come associazione.

Tutto quello che io posso fare adesso, è rimanere in ascolto e guardare quando l’odio per te che sei diverso da me, si riaffaccia nel mio animo. So per certo che ciò avverrà ancora tante volte, è inutile nasconderlo.

E ogni volta sarà un’occasione da cogliere per non vanificare l’impegno che ho assunto al tuo cospetto. Anche tu, amico mio, aiutami in questo lavoro; dimmi qualcosa, non tenerlo segreto, ti chiedo solamente di non farmi troppo male quando mi dirai che hai sentito il mio odio oppure che mi odi, e io cercherò di fare altrettanto con te.

Se pure ciò dovesse accadere, a me o a te, per mano mia, aiutiamoci a perdonare. So che è molto difficile, ma sento che non è impossibile. Ho completa fiducia nella mia e nella tua grande capacità riparativa e di perdono, e nella mia e nella tua infinita capacità di amarsi e di amare.

Farò di tutto affinché queste non rimangano soltanto parole, per non vanificare il nostro patto d’amicizia.

Grazie per avermi ascoltato.



Con affetto, Alessandro.







Sigmund Freud

Wilhelm Reich

Osho Rajneesh

Antonio Mercurio

Louise Hay

Federico Navarro

Antonio Mazzetti

Laura Rita