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Decidere di evolvere

Nessuno decide di evolvere se non è accaduto qualcosa che in qualche modo lo ha fatto sentire in crisi o ha prodotto delle crepe nelle sue certezze. Molte persone soffrono per i motivi più disparati eppure poche decidono di evolvere. La ragione sta nel fatto che poche persone accettano di essere in buona parte i responsabili delle loro sofferenze. La colpa dei nostri mali è sempre degli altri, della società, della sfortuna, del destino ecc.

Decidere di evolvere è cominciare a pensare che se la mia vita non va come vorrei che andasse è perchè anzitutto c’è qualcosa in me che non va e questo qualcosa desidero che cresca e si trasformi in modo che sia buono e creativo per me e per la mia vita e poi magari anche per chi mi sta intorno.

Naturalmente questa presa di coscienza non è indolore, ma non dobbiamo avere paura a guardare con onestà dentro di noi, perché saper accettare la nostra sofferenza è una forza, non una debolezza.

Evidenziare ciò che è rimosso

Evidenziare ciò che è rimosso significa portar fuori ciò che abbiamo reso inaccessibile alla nostra coscienza. Si tratta di imparare a individuare, scoprire e comprendere quali sono le nostre difese esistenziali, psichiche e corporee.

È un lavoro molto delicato e che richiede impegno, inoltre ci si trova a scoprire parti di noi che proprio non vorremmo avere. D’altra parte non si può trasformare quello che non si conosce quindi evidenziare le parti rimosse è fondamentale per un'autentica trasformazione dell’essere.

Scoprire le nostre parti rimosse da soli è un’impresa assai ardua e l’aiuto di una guida o di un terapeuta è di gran lunga la scelta migliore. Anzi, riconoscere di aver bisogno di aiuto rivolgendoci a chi ha già percorso questo viaggio e sa indicarci quale rotta intraprendere non è affatto una debolezza, è il primo dei tanti atti di umile coraggio che ci renderanno finalmente liberi e sereni.

Responsabilizzarsi del proprio odio rimosso

Antonio e Laura scrivono su Briciole di Coscienza: «L’odio è uno dei sentimenti più importanti e tenaci dell’essere umano. Le forme in cui l’odio si manifesta sono talmente tante che una sua definizione univoca è veramente difficile».

L’odio nasce già nella vita intrauterina come reazione a un vissuto di violenza e umiliazione che tocca l’identità biologica e spirituale. Quindi a questo livello l’odio è protettivo, è un arroccamento in cui un essere umano chiude tenacemente il proprio cuore, un raggruppamento delle forze per difendersi da quello che altrimenti sarebbe un dolore devastante che senz’altro porterebbe alla morte. Naturalmente stiamo parlando di un dolore arrecato da una persona affettivamente importante, non da altre possibili cause, altrimenti non si spiegherebbe il vissuto di umiliazione.

Questa funzione protettiva dell’odio però ha senso finché continua la minaccia. Invece l’odio quasi sempre viene rimosso e rimane quindi attivo anche quando non ha più lo scopo originario; infatti, nascondendosi tra le pieghe e le sfumature caratteriali e comportamentali dell’individuo in realtà si trasforma in odio vendicativo.

Responsabilizzarsi del proprio odio rimosso è un compito gravoso perché nessuno è disposto a rinunciare alla propria presunta innocenza, nessuno vuole sentirsi colpevole. Odiare contrasta con tutti i princìpi etici e religiosi che sono tramandati da centinaia, forse migliaia di anni, attraverso la famiglia e le istituzioni laiche e religiose. Ma noi non vogliamo imparare a odiare per distruggere, vogliamo invece incominciare ad accettare che questo sentimento esiste dentro di noi e che tale esistenza ha una ragion d’essere.

Infatti, il nostro odio infantile rimosso, che da adulti agisce inconsciamente in forme mascherate e accettabili, è la nostra risposta dapprima sana e poi perversa all’odio rimosso dei nostri genitori, nonni, fratelli e via dicendo. La nostra grande responsabilità è quella di essere caduti nella trappola della vendetta e del rancore, del risentimento e del disprezzo, è di questo che siamo colpevoli. La cosa più saggia da fare è conoscere le forme di odio che sono in noi per potercene finalmente liberare e cercare di vivere pienamente e profondamente la nostra vita. Questo si ottiene col processo del perdono come vedremo.

Accettare la propria angoscia

Provare angoscia è una delle esperienze peggiori che possano capitare, come sa bene chiunque l’abbia provata. L’individuo sente una minaccia alla propria esistenza (panico nei casi estremi) che non sa da dove viene, poiché la minaccia non è collegata a situazioni reali. L’angoscia è caratterizzata da manifestazioni somatiche diverse a seconda dell’individuo. Esse sono:

  • sudore freddo;
  • pallore;
  • tremori;
  • palpitazioni cardiache;
  • sensazioni visive di vario tipo;
  • oppressione toracica;
  • sensazione di soffocare;
  • gambe molli.

La principale fonte di angoscia è il blocco del diaframma (il muscolo senza il quale non potremmo respirare), che riporta l’energia nei livelli superiori causando l’angoscia. L’angoscia stessa può essere a sua volta rimossa e in questo caso l’accumulo di energia diventa continuo e rischia di danneggiare gli organi causando malattie.

La nostra esperienza ci suggerisce comunque di imparare ad accettare l’angoscia pur comprendendo che essa può essere fortemente limitante per l’individuo. Quest’ultimo, conoscendo ora realmente i propri limiti e rispettando le proprie paure, può aggrapparsi a sé stesso e andare avanti a piccoli passi magari fermandosi se l’angoscia è troppo forte, ma con la consapevolezza di essere sulla strada giusta

Vivere a pieno il proprio dolore

Ancora, da Briciole di Coscienza: «Il dolore nascosto sotto l’angoscia e l’odio, fatto di pesantissime offese e umiliazioni ci obbliga, quando se ne è presa coscienza, a scegliere se ritornare all’odio, all’angoscia, al vittimismo oppure decidere di liberarsi con l’impegno, con astuzia, con volontà. Tale decisione e impegno non potrà che trasformarci dal profondo e nell’intimo effettuando a pieno quel processo che noi chiamiamo perdono».

Il dolore da cui ci difendiamo con l’odio o con l’angoscia e che non vogliamo assolutamente sentire, comincia invece a emergere quando a un certo punto comprendiamo veramente come sono andati e come vanno i fatti della nostra vita. A un certo punto, se abbiamo il coraggio di vedere le cose con onestà smettendo di mentirci come sempre abbiamo fatto, ci rendiamo conto che dietro gli obiettivi attuali della nostra vita ce ne sono altri che attendono da molti anni di essere raggiunti.

In realtà vogliamo soprattutto essere amati, accolti, ascoltati, compresi, riconosciuti, consolati, difesi, nutriti ecc., insomma tutto ciò che un bambino desidera avere anzitutto dalla madre, ma poi anche dal padre. Ma per quasi tutti noi le cose sono andate assai diversamente e questi bisogni infantili sono stati dolorosamente rimossi continuando inconsciamente a perseguitarci per il resto della nostra vita.

Fin da bambini, per non sentire questa mancanza d’amore (che per un bambino è inspiegabile e assolutamente ingiustificata), ma anche per cancellare l’odio che ne deriva e che non può essere espresso, costruiamo una serie di meccanismi di difesa di ogni tipo: fisici, caratteriali, psicologici e mentali.

Il dolore comincia ad apparire quando sperimentiamo sulla nostra pelle che le cose stanno proprio così e che finora ci siamo illusi di poter avere oggi o in futuro quello che ci è mancato allora. Decidere di rinunciare a questa illusione significa essere pronti per attraversare il dolore terribile che non abbiamo potuto sopportare da bambini e che per questo abbiamo rimosso. Questo percorso «è l’unica scelta che ci fa vedere il passato per come è veramente stato. Vedere il passato con chiarezza è il presupposto indispensabile per superarlo e lasciarlo andare, potendo così cercare la vera gioia nel qui e ora, nel presente» (da Briciole di Coscienza).

Perdonare

Eliminiamo subito un possibile equivoco. La nostra definizione di perdono non ha nulla a che vedere con quella della chiesa cattolica.

È un concetto che Antonio e Laura hanno assorbito da Antonio Mercurio ed è un elemento cardine del loro modello teorico. Tutti credono di saper perdonare, in realtà si tratta il più delle volte della decisione di dimenticare per il quieto vivere, in profondità si continua a odiare, ci si vendica in modo più o meno mascherato e inconsapevolmente ci si punisce per questo.

Il perdono più che un atto, è la decisione di intraprendere un processo di scioglimento dell'odio che nel tempo ci trasformerà profondamente.

Secondo noi col perdono cattolico non solo si rischia di perdonare falsamente con il risultato di diventare vittime della nostra e dell’altrui violenza, ma la chiesa cattolica non insegna mai a perdonarsi, contribuendo a cementare i sensi di colpa di cui già siamo pieni per il tipo di educazione che abbiamo ricevuto.

Il perdono non è mai una cosa decisa lì per lì, sul momento. Al contrario è un lungo processo di trasformazione di tutto il nostro essere dal modo di pensare, al modo di agire e di sentire e nasce dalla graduale rinuncia all’odio vendicativo col quale vorremmo essere ripagati delle umiliazioni di cui abbiamo parlato prima.

Dopo che, nel corso del tempo, abbiamo prima deciso di cambiare la nostra vita, abbiamo cominciato ad affrontare ed eliminare le nostre difese e i nostri blocchi, abbiamo cominciato a scovare l'odio rimosso per assumercelo e trasformarne la parte distruttiva, abbiamo accettato anche l'angoscia anch'essa difensiva e ci siamo abbandonati al dolore sottostante, possiamo tentare di perdonare chi ci ha procurato tutto questo, possiamo perdonare nostra madre per il disastro che siamo ora.

Attraversare il deserto (accettare il vuoto)

Cosa rimane dopo aver tolto da dentro di noi tutte le nostre aspettative, i bisogni inappagati, le identificazioni con i nostri genitori? Proviamo a chiederci, ma dove è finito l’amore che tanto desideravamo e che un tempo nessuno è stato capace di darci? Ma noi siamo veramente capaci di amare?

Se siamo arrivati a questo punto vuol dire che abbiamo deciso di non mentire più a noi stessi, significa che siamo pronti a riconoscere in noi la stessa incapacità d’amare che imputavamo ai nostri genitori.

È un momento delicatissimo perché potremmo cadere nello sconforto, nell’autocommiserazione, ma se abbiamo lavorato bene prima, il coraggio dell’umiltà, la capacità di perdonarci e la fiducia nel nostro Sé ci verranno in aiuto suggerendoci un modo tutto nuovo di procedere.

Costruire il giardino: la crescita dello spirito

È venuto il momento di scrivere una pagina nuova nella nostra storia, una pagina scritta tutta esclusivamente da noi. Il nostro Sé è lì, finalmente disponibile a darci energia, se ci siamo liberati sufficientemente dei nostri condizionamenti psichici e corporei scopriamo solo ora quanto siamo poveri spiritualmente e quanto sia grande il dono che ci è stato fatto venendo al mondo.

Ora possiamo finalmente mostrarci grati di questo dono e il miglior modo di dimostrarlo è vivere la nostra vita rispettandola e sviluppando pienamente tutte le nostre doti e la nostra creatività, accettando i nostri limiti, rinunciando all’onnipotenza ma senza rassegnarci mai.

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